Biografia

PIERO BARONTINI nasce a Livorno il 10 Maggio 1919,
muore a Livorno il 10 Maggio 2003.

I suoi soggetti preferiti sono le vedute di Livorno, con le case alte dai colori caldi e quasi terrosi. Ma anche i mercatini e le viuzze semivuote che fuggono all’orizzonte, le marine, le campagne e i vicoli incorniciati dagli archi, quelli che usavano una volta. La pittura di Piero Barontini ha una storia lunga ma mantiene sempre in filigrana una coerenza di soggetti e d’umori che, nel tempo, non cambiano mai radicalmente. Nato a Livorno il 10 maggio 1919, muore sempre a Livorno nel giorno del suo compleanno, nel 2003. A dipingere inizia presto.

Quando era ragazzino infatti la madre aveva un negozio chiamato «Le Mode» (così tra l’altro si firma in alcuni dei suoi primi lavori) nel centro livornese, in Corso Mazzini: è qui che Piero si divertiva a giocare con le matite, disegnando e mettendo i colori in bella vista nella vetrina. Il vero approccio con l’arte però avviene in piena seconda guerra mondiale. Spedito al fronte greco, inizia a realizzare i primi disegni nei momenti di sosta. Si tratta perlopiù di ritratti che fa alla fidanzata lontana e ai giovani commilitoni, per inviarli insieme alle lettere in Italia, a casa delle famiglie lontane, in modo da rassicurarle.

E’ con quest’esperienza che intuisce le sue capacità artistiche. Così, al ritorno dalla guerra, l’arte diventa una vera e propria passione, sostenuta da studi autodidattici. Ai disegni carta su matita dei primi anni ’50, Barontini affianca le grandi tele di iuta dipinte ad olio, spesso con la spatola, degli anni ’60 e ‘70. Le sue opere dichiarano fin da subito l’influenza della scuola labronica, caratterizzata dalla presenza storica dei macchiaioli e dei post macchiaioli. Ma ad interessarlo è anche la pittura impressionista francese, che scopre attraverso l’amicizia con artisti della Ville Lumiere. Tuttavia, a differenza di molti pittori livornesi, Barontini non ha mai dipinto con il cavalletto, en plain air. «Non pitturo dal vero – amava dire - ma dal vero traggo l'ispirazione». Così l’artista si chiude nel suo atelier e dipinge “a memoria” la quotidianità osservata durante il giorno e reinterpretata in maniera personale: i mercatini affollati di Livorno, le marine e i pescherecci incrociati durante le passeggiate al porto, le viuzze dove abitava o dove vivevano i suoi amici, i boschi e le vallate visitate durante le vacanze estive. Negli ultimi anni di vita, dopo che un ictus lo paralizza nella parte destra del corpo, le sue uscite si fanno sempre più rare. Lui, imperterrito, continua a dipingere con la mano sinistra, utilizzando cartoline per ispirarsi, un po’ come faceva Maurice Utrillo. La sua resta fino all’ultimo una pittura materica, che dà vita ad un mondo lievemente malinconico, folkloristico, fatto di tradizioni e paesaggi sul punto di svanire, per lasciar spazio alla modernità. Un po’ come quegli uomini che dipinge sempre di spalle, con le mani in tasca, che sembrano incamminarsi silenziosamente verso l’orizzonte. I suoi dipinti e disegni si trovano sparsi in collezioni private italiane ed estere.